La Basilica di Santa Croce è una chiesa sita nel centro storico di Lecce e, insieme all'attiguo ex Convento dei Celestini, costituisce uno dei maggiori complessi architettonici della città.
Nell'area dell'attuale basilica, Gualtieri VI di Brienne aveva già fondato un monastero nel XIV secolo, ma fu solo dopo la metà del XVI secolo che si decise di trasformare l'area in una zona monumentale. Per reperire il terreno si requisirono case e proprietà degli ebrei, cacciati dalla città nel 1510. I lavori per la costruzione della basilica si prolungarono per due secoli, fra il XVI e il XVII, e videro coinvolti i più importanti architetti cittadini dell'epoca.
La prima fase della costruzione, cominciata nel 1549, terminò entro il 1582 e vide la costruzione della zona inferiore della facciata, fino all'enorme balconata sostenuta da telamoni raffiguranti uomini e animali. La cupola venne completata nel 1590. Secondo lo storico dell'arte Vincenzo Cazzato questa prima fase vide l'emergere della personalità di Gabriele Riccardi. Una successiva fase dei lavori, a partire dal 1606, durante la quale vennero aggiunti alla facciata i tre portali decorati, è marcata dall'impegno di Francesco Antonio Zimbalo. Al completamento dell'opera lavorarono successivamente Cesare Penna e Giuseppe Zimbalo. Al primo è dovuta la costruzione della parte superiore della facciata e dello stupendo rosone (vicino al quale è scolpita la data 1646), al secondo va probabilmente attribuito il fastigio alla sommità della struttura.
Prospetto
Il primo ordine del prospetto è diviso da sei colonne a fusto liscio che sostengono la trabeazione. Il portale maggiore della basilica presenta coppie di colonne corinzie ed espone le insegne di Filippo III, di Maria d'Enghien e di Gualtieri di Brienne. Sulle porte laterali sono esposti gli stemmi dell'ordine dei Celestini. Una lunga balaustra è sostenuta da telamoni a tutto tondo. Tredici putti abbracciati rappresentano simboli del potere temporale e spirituale.
Tutto il secondo ordine della facciata, scandito da due coppie di colonne corinzie, è dominato dall'enorme rosone decorato, diventato ormai uno dei simboli della città. In due nicchie ai lati del rosone sono ospitate le statue di San Benedetto e di Papa Celestino V fondatore dell'ordine dei Celestini. Ai lati della balaustrata si ergono due grandi statue femminili, simboleggianti la Fede e la Fortezza. Secondo Maurizio Calvesi e Mario Manieri Elia il complesso programma decorativo della facciata andrebbe connesso a una celebrazione della vittoria nella battaglia di Lepanto (1571) nella quale le potenze occidentali avevano avuto la meglio sull'Impero ottomano, con grandi benefici commerciali per la Terra d'Otranto. I telamoni vestiti da turchi alluderebbero ai prigionieri catturati dalla flotta veneziana durante la battaglia: la suddivisione delle spoglie catturate al nemico durante la battaglia di Lepanto avvenne infatti in Terra d'Otranto, in prossimità del santuario di Santa Maria di Leuca. Gli animali raffigurati sotto la balaustrata potrebbero invece alludere alle potenze cristiane alleate: il dragone era l'emblema dei Buoncompagni, famiglia alla quale apparteneva papa Gregorio XIII, il grifo simboleggerebbe Genova, l'Ercole il Granduca di Toscana etc.
L'interno della basilica, a croce latina, era originariamente ripartito in cinque navate, due delle quali furono successivamente riassorbite in cappelle laterali aggiunte nel XVIII secolo.
Nella chiesa sono presenti diciassette altari. L'altare maggiore è incorniciato in un portale decorato, sormontato dallo stemma della famiglia Adorni che aveva le sue tombe nella basilica. A sinistra dell'altare maggiore sorge il monumento funebre a Mauro Leopardo, abate del convento dei Celestini.
La navata maggiore è coperta da un fastoso soffitto a cassettoni in legno di noce con dorature. L'altare di San Francesco da Paola, opera di Francesco Antonio Zimbalo, è un pezzo scultureo di particolare virtuosismo barocco. Notevole anche la decorazione dell'altare della Santa Croce, nel transetto destro, opera barocca di Cesare Penna. Tra le tele di particolare pregio si segnalano la Trinità del pittore tardo-manierista Gianserio Strafella, il Sant'Antonio da Padova di Oronzo Tiso e l'Adorazione dei pastori di Giovan Battista Lama.
La ricezione critica della basilica nel XIX secolo fu molto contrastata. L'elaborato partito decorativo della facciata veniva visto dai critici dell'epoca come qualcosa di ridicolo e di pessimo gusto.
Nel XX secolo comincia un costante movimento di rivalutazione e vengono pubblicati numerosi studi sui complessi simbolismi della facciata. Attualmente la basilica è considerata uno dei capolavori architettonici della città.
I monaci celestini amministrarono convento e basilica fino alla soppressione dell'ordine nel 1807. Successivamente la chiesa rimase abbandonata e il palazzo annesso divenne sede di uffici pubblici. Anche attualmente il palazzo dei Celestini ospita gli uffici della prefettura e della provincia. La chiesa, dal 1833, fu affidata all'Arciconfraternita della SS. Trinità che la gestisce tuttora.
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